A spasso tra le tradizioni delle Festività
di Beatrice Crescentini
Quando ci prepariamo ad addobbare le nostre abitazioni per le Feste, ci riduciamo a fare due azioni principali: addobbare l’albero di Natale e allestire il Presepe. Ma vi siete mai chiesti da dove derivino queste usanze? Insomma, perché ogni anno compiamo questi gesti?
25 dicembre, la festa del Sol Invictus, e gli addobbi degli alberi sacri
Vi faccio subito un annuncio: se siete Cattolici osservanti questo paragrafo potrebbe urtare la vostra sensibilità. Vi consiglio di passare direttamente al prossimo. Se però avete curiosità di sapere cosa si cela dietro la data della nascita di Cristo e l’usanza di addobbare l’albero di Natale, allora continuate pure a leggere!
Partiamo dal compleanno di Gesù Bambino, il 25 dicembre. A conti fatti, se andate a leggervi la Bibbia, non troverete alcun riferimento, anche minimo, a quando sia nato il Cristo da Maria. Allora, perché proprio il 25 dicembre?
Immaginatevi la vostra routine quotidiana che gira in base ai ritmi della natura. Immaginate di vedere il Sole fonte di vita e di crescita per le messi, lentamente sparire cedendo sempre più il passo alle tenebre. Immaginate di vedere i vostri campi, per i quali avete tanto lavorato durante i mesi estivi, lentamente seccarsi e diventare improduttivi. E se questa condizione dovesse durare? E se il cibo dovesse terminare?
Anno dopo anno vi accorgete che il periodo più critico è quello proprio a ridosso del solstizio d’inverno (intorno al 20 dicembre). Se il Sole riesce a passare indenne le insidie dell’oscurità allora tornerà la luce, il caldo e con essa le speranze di sopravvivere ancora. Dovete aiutare il Sole a farcela.
Ecco allora che Roma celebra proprio il 25 dicembre la festa del Sol Invictus (molto sentita a partire dal III secolo d.C.) e i Saturnalia (tra il 17 e il 23 dicembre). Le popolazioni celtiche e germaniche festeggiavano Yule il 21 dicembre. Nel Punjab indiano tradizionalmente il 13 dicembre si celebra il Lohri, festa legata sempre al solstizio d’inverno. In Iran ancora oggi si festeggia la Yalda, anche conosciuta come la notte dei 40 (con riferimento al fatto di essere la prima delle quaranta notti invernali), sempre il 21 dicembre.
Veniamo adesso ai giorni in cui la chiesa di Roma non era ancora la Chiesa di Roma. Erano anni difficili, da vivere tra il collasso sempre più visibile dell’Impero e la necessità di imporsi come nuova istituzione religiosa, ma anche politica. Per sopravvivere le istituzioni ecclesiastiche dovevano mostrarsi come la nuova via attraverso cui passava la salvezza dell’uomo ed ecco allora che, se la moltitudine festeggia il Sol Invictus, è più facile trasformare tale festa in chiave cristiana, piuttosto che erigere un muro e dire:
“Ciò in cui hai creduto fino a ieri, le tradizioni che ti hanno insegnato i tuoi genitori, i tuoi nonni e i tuoi avi sono sbagliate.”
Sarebbe stato, senza ulteriori giri di parole, un vero e proprio “suicidio” politico. Ecco allora che i Padri della Chiesa decisero che il 25 dicembre sarebbe stata “La data”. Non si conosce con esattezza l’anno in cui tale decisione fu presa, ma quel che è certo è che la prima testimonianza scritta esplicita risale al 336 d.C.
In questa politica di “appropriazione” delle antiche usanze pagane rientra anche la tradizione dell’albero di Natale. Se nei territori dell’Impero la penetrazione del credo cristiano è stata notevolmente agevolata dal culto zoroastriano di Mitra, non si può dire lo stesso delle fredde terre del nord Europa, abituate a divinità ben diverse da quelle romane. Durante le festività legate al solstizio d’inverno, il già citato Yule, vigeva l’abitudine di adornare un albero sempreverde con luci e frutti e piccoli oggetti, per propiziarsi un raccolto abbondante e prosperità e ricchezza per l’anno seguente.
Come avviene il passaggio in ottica cristiana? Ebbene, l’albero diventa la rappresentazione di Gesù, l’unica via attraverso cui si possa aspirare alla ricchezza e al benessere. Ecco anche perché si è soliti allestire l’albero di Natale in alto, con il presepe tra le sue radici: la nascita di Cristo è l’evento che da il via alla possibilità di salvezza dell’uomo; da lì nasce la speranza che non muore mai; da lì la salute per l’umanità.
Il presepe, tradizione di origine medievale, tutta italiana
Vi siete mai chiesti da dove nasca la tradizione di fare il presepe? Certo, direte voi, è la rappresentazione per antonomasia della Natività. Si, ma chi ha fatto per il primo il presepe? Qual è stato “l’evento 0”?
Siamo tra il 1222 e il 1223 e San Francesco d’Assisi, di ritorno dal suo viaggio in Terra Santa, era rimasto particolarmente coinvolto dalla rappresentazione cui aveva assistito a Betlemme, riguardo alla Natività. Tornato in Italia, chiese l’autorizzazione a Papa Onorio III, di poter ripetere tale evento anche nelle terre occidentali. Il Papa acconsentì e fu così che per il Natale nell’anno del Signore 1223 il santo, futuro patrono d’Italia, organizzò nel piccolo paese di Greccio (in Umbria) il primo presepe vivente.
Per passare da una scena animata alla rappresentazione che tutti conosciamo, con le statuine inanimate, si dovranno aspettare circa settant’anni. Siamo quasi alla fine del secolo, quando, nel 1290 circa, Papa Niccolò V commissionò al grande scultore Arnolfo di Cambio la creazione di un presepe marmoreo, vuoi per celebrare la Natività in sé e per sé, vuoi per ricordare la rappresentazione francescana. Il luogo preposto fu la basilica di Santa Maria in Praesepium, come allora era conosciuta la basilica di Santa Maria Maggiore, per la presenza di reliquie legate proprio al momento della Natività e giunte dalla lontana Betlemme.
Dell’opera completa rimangono oggi solo le statue, essendo l’ambientazione circostante andata perduta con i pesanti restauri, prima nel XVI secolo e poi in epoca moderna. Potendo fare un passo indietro nel tempo,avremmo probabilmente visto, come se fossimo a teatro, la seguente scena: in un’apposita nicchia la Vergine con il Bambino Gesù appena nato (anche se il gruppo scultoreo attuale non è quello originale, ma una copia cinquecentesca), guardati dal bue e dall’asino; quasi sul bordo della nicchia San Giuseppe, posto frontalmente allo spettatore, compie un passo verso il pubblico come a dire: “Entrate, guardate anche voi il miracolo appena avvenuto!”; un anziano Magio inginocchiato, che avremo trovato probabilmente di schiena rispetto al pubblico, porge i suoi omaggi alla puerpera, mentre a poca distanza gli altri due Magi stanno varcando ancora la soglia, con il più giovane che cede rispettosamente il passo al più anziano.
Da allora l’abitudine di fare il presepe nelle case private passò prima attraverso le famiglie nobili romane, che si sfidavano ogni anno a chi avesse la rappresentazione più bella (di conseguenza a chi di loro fosse la più potente), per poi terminare solo negli ultimi duecento anni circa nelle case del popolo.
Può rivelarsi davvero interessante fermarsi un momento e provare a pensare da dove derivino determinate usanze o tradizioni, capire il percorso fatto, la storia delle generazioni passate, che hanno lasciato volenti o nolenti delle tracce, che ancora ci ritroviamo a percorrere. Se poi vogliamo considerare il Natale, al di fuori dell’aspetto religioso, anche come un momento di raccoglimento e conservazione della tradizione (familiare, sociale, culinaria…), allora la scoperta dell’origine dei simboli di questo periodo dell’anno assume una connotazione diversa, più consapevole.
Detto questo, non mi resta che concludere con una frase: buon Natale a voi, alle vostre famiglie e ai vostri cari. Che voi siate credenti o meno!
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