Recensione del film di Chloé Zhao vincitore di ben 3 premi Oscar su sei candidature
di Valerio Brandi
Presentato lo scorso 11 settembre 2020 sia alla 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, che al Toronto International Film Festival, Nomadland di Chloé Zhao ha subito anche lui, causa Covid-19, una distribuzione travagliata fatta di continui rimandi, così è disponibile per noi italiani sulla piattaforma Disney+ dal 30 aprile 2021, e nei cinema nel caso venissero finalmente riaperti.
Avendolo visto in anteprima, possiamo anche giudicare il doppiaggio italiano, un’ottima lavorazione che può di nuovo vantare l’affezionata e perfetta Antonella Giannini sulla protagonista, oltre a grandi attori del calibro di Doriana Chierici, Carlo Cosolo, Aurora Cancian, Antonio Sanna, Roberta Pellini, Chiara Salerno, Micaela Incitti, Guendalina Ward, Lorenza Biella, Cinzia De Carolis, Riccardo Scarafoni, Sara Labidi, Tony Garrani, Laura Cosenza, Lucrezia Roma, Riccardo Suarez, Laura Romano, Ennio Coltorti e Georgia Lepore, con la direzione e l’adattamento dialoghi di Fiamma Izzo.
Un’attesa che sarà ancor più gustosa per coloro che lo attendono, dato che nella 93ª edizione dei premi Oscar la pellicola ha vinto ben tre statuette: miglior film, miglior regia e miglior attrice protagonista a Frances McDormand.
Terzo massimo riconoscimento per l’attrice statunitense, che in Nomadland interpreta Fern, una lavoratrice che con la Grande Recessione (quella raccontata ne “La grande scommessa”, per restare in tema di film vincitori di almeno un Oscar) ha perso sia il marito che il lavoro.
Facendo conto non solo della crisi economica ma anche dell’età avanzata, Fern è costretta a vivere quasi alla giornata, spostandosi con il suo camion lungo gli Stati Uniti, cercando dove possibile un lavoro per sopravvivere. In questo viaggio che sembra non avere fine, troverà tanti nomadi come lei, così la vita in alcuni momenti sarà meno dura da digerire.
In Nomadland c’è molto del precedente lungometraggio di Chloé Zhao, ossia The Rider – Il sogno di un cowboy: la regista torna a parlare di povertà e di lavoro duro, così come i luoghi visitati da Fern non sono poi una versione moderna della vecchia frontiera americana, dove i pionieri erano sempre in viaggio alla ricerca di fortuna?
Una triste realtà, quella di Fern, che accomuna molte persone in tutto il pianeta, e quindi è stato doveroso raccontarla, anche se la narrazione e la colonna sonora rendono Normaland un film molto impegnativo a cui non è facile appassionarsi, almeno non a tal punto da volerlo rivedere più di una volta.
Come atmosfera ha ricordato anche Nebraska (2013), ma quello di Alexander Payne sapeva coinvolgere e far innamorare lo spettatore della storia decisamente di più.
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